E se le donne avessero potuto votare da “sempre”?

La storia porta spesso con sé incredibili aneddoti che, purtroppo, la memoria collettiva cancella. Ricordare è importante, soprattutto in casi come questo. 

L’8 marzo si celebra la Giornata internazionale dei diritti delle donne, non una semplice “festa” dove regalando mimose speriamo di cancellare le nette differenze di diritti, di salario e di possibilità fra uomini e donne. Qualcosa di più, o almeno dovrebbe essere così.

Andare a cercare un cavillo nelle leggi è una sorta di sport nazionale, aggrapparsi a passaggi poco chiari dei testi per volgerli a nostro favore. Non sempre, però, si potrebbe rivelare una cattiva idea. 

Siamo nel 1906 e Maria Montessori scrive un appello alle donne italiane sul settimanale di orientamento cattolico “La Vita”: nel suo appello, la pedagogista invita le donne italiane a partecipare attivamente alla vita politica poiché la legge non era chiara a riguardo.

La legge dell’epoca prevedeva, infatti, che fossero elettori i cittadini italiani con età superiore a 21 anni appartenenti alle classi sociali dalla media-borghesia in su. Nel testo redatto non erano menzionate le donne per cui, di fatto, non era imposto alcun limite esplicito, nonostante un retaggio culturale di pensiero contrario. 

Così, numerose donne con gli adatti requisiti legali cominciarono a presentare richiesta per essere incluse nelle liste elettorali di città come Genova, Firenze, Venezia, Brescia, Napoli, Palermo e Cagliari venendo, però, respinte. 

Unica città italiana dove vennero accettate fu Ancona, grazie all’impegno del Presidente della Corte di Appello, Lodovico Mortara, che (come detto in numerose dichiarazioni) nonostante fosse contrario dovette solo applicare la legge che, in realtà, permetteva ciò. Ancona divenne la prima città dove 10 donne, maestre di scuola elementare, ottennero la tessera elettorale ben 40 prima del suffragio universale ma anche 6 anni prima di leggi meno stringenti per il diritto di voto degli uomini! 

La storia può sembrare una lieta novella ma l’epilogo non è altrettanto gioioso: la Corte di Cassazione di Roma revocò subito dopo le tessere giustificandosi dicendo che fosse talmente chiaro che le donne fossero escluse da attività di questo calibro che non si sentì il bisogno di specificarlo nello Statuto Albertino. 

Seppur breve nella durata, questa vicenda ha rivestito fondamentale importanza nell’aprire la pista ad un dibattito serio e concreto sul diritto di voto alle donne che divenne realtà solo 40 anni dopo.

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