Dal feudo al feed: ecco il feudalesimo digitale

Secondo il pensiero di Tucidide la storia segue un andamento ciclico, ed è per questo che i fatti si ripetono, senza dubbio mutando forma ma conservando la medesima sostanza. Proprio alla luce di questo, nel pieno dell’era digitale, l’uomo contemporaneo torna protagonista dell’emblematico sistema medievale del feudalesimo.
Lontani da spade, castelli e cavalieri, ora siamo vicini ad algoritmi, like e interazioni: è per questo che, pur passando dal feudo al feed, restiamo all’interno di una moderna forma di subordinazione e dipendenza, mascherata da libertà tecnologica.

Oggi i signori del digitale concedono ai cittadini del web piccoli “appezzamenti” virtuali: profili, canali, pagine web.
Ma, come accadeva mille anni fa, la proprietà resta nelle mani del signore. Il nostro profilo Instagram o l’account TikTok non ci appartengono davvero, ma ci vengono concessi in uso. Siamo ospiti, non proprietari.
Così non siamo liberi di muoverci nella rete, ma restiamo soggetti alle leggi del castello, fatte di politiche sulla privacy, cookie e algoritmi.

L’idea di Internet come spazio decentralizzato e libertario è stata progressivamente sostituita da una più concreta rete di poteri centralizzati, che ha portato alla nascita di una vera e propria oligarchia digitale, in cui tutto è nelle mani di pochi. Google, X, Meta e TikTok sono in grado di controllare, in modo pressoché totale, il flusso delle informazioni, dei contenuti e delle emozioni collettive.

Nella vita, poi, ogni cosa ha un prezzo, e quello dell’utilizzo della rete è nascosto ma altissimo: i nostri dati personali.
In quest’ottica, ogni click, ogni ricerca, ogni informazione condivisa diventa una moneta di scambio, una subdola carta d’identità digitale che viene ceduta per tenere monitorato chi siamo e cosa desideriamo.

Così come in ogni corte, anche nel grande castello di Internet esiste una servitù.
Gli utenti, infatti, nella spasmodica ricerca di like, visualizzazioni e approvazione, diventano servi del consenso, e il proprio valore sembra dipendere dal numero di follower.

Oggi la proprietà materiale degli oggetti si dissolve e viene sostituita da un diritto d’uso temporaneo: compriamo un telefono, ma dobbiamo sottoscrivere un abbonamento per ascoltare la musica, per archiviare i file nel cloud o per vedere le serie TV del momento.

Proprio in questa prospettiva, però, emerge una sostanziale differenza rispetto al passato: oggi diventiamo volontariamente schiavi di Internet.
Il libero arbitrio è dunque l’unica arma che ci resta, ma è anche costantemente messo alla prova dal bisogno di essere approvati dalla massa.
Tuttavia, la consapevolezza è il primo passo verso l’emancipazione: comprendere i rischi insidiosi della rete significa cominciare a essere, almeno un po’, più liberi.

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