Il mattino si affaccia lento e timido, un velo di nebbia avvolge le strade affollate come un abbraccio soffocante che offusca la mia mente. Il suono della campanella rompe il silenzio del corridoio, e io rimango immobile, avvolta dalla frenesia che si scatena attorno a me. Ragazzi e ragazze si affollano, ridendo e chiacchierando, mentre io osservo da una distanza che sembra incolmabile. Ogni risata è come un colpo di pugnale al cuore, un promemoria della mia solitudine.
Mi stringo nel mio giubbotto, cercando di scomparire tra le ombre delle pareti. Loro, le mie compagne di classe, si muovono con grazia, circondate da un’area di sicurezza che sembra naturale. Le invidio. La loro vita appare così semplice: amicizie sincere, segreti condivisi, momenti di gioia. Io sono solo un’estranea nel loro mondo impeccabile.
Mentre cammino verso l’aula, noto un gruppo di ragazze che si abbracciano e ridono insieme. La loro felicità è palpabile, come una melodia che risuona nell’aria. “Perché non posso essere come loro?” penso, un nodo di amarezza alla gola. La mia voce interiore mi sussurra che non sono abbastanza: non abbastanza simpatica, non abbastanza interessante.
Entro in aula e mi siedo in un angolo, lontana dagli sguardi curiosi. La luce filtra dalle finestre, ma per me è solo una pallida illusione. Mi sento intrappolata in una gabbia, mentre vedo la vita scorrere al di fuori di quel fine vetro, percepisco dentro di me un vuoto così cupo e tempestivo. Ogni mattina, lo specchio mi restituisce un’immagine distorta: un viso cadaverico, con occhi lacerati e labbra serrate in una smorfia di dolore.
“Chi sei?” mi chiedo, mentre il mio riflesso mi sorride in modo beffardo. È un sorriso che non promette nulla di buono, piuttosto, sembra un avvertimento: “Non puoi scappare da me”. La voce della mia coscienza si fa sempre più insistente e angosciante.
Le notti sono i momenti più bui. Distesa nel letto, il soffitto diventa sempre più distante; diverse ombre mi circondano e mi soffocano, figure mostruose che sussurrano i miei segreti più opprimenti. Chiudo gli occhi con forza mentre delle lacrime sofferenti adornano il mio viso, lasciando penetrare il buio sotto le palpebre come un veleno silenzioso.
In quei momenti di vulnerabilità, l’ansia si trasforma in una presenza concreta. La vedo accanto a me, con mani gelide che mi afferrano la gola. “Sei sola”, sembra dire l’oscurità. “Nessuno può salvarti”. Così mi rifugio nel silenzio della mia stanza, circondata da fogli bianchi e penne scariche. La scrittura è la mia unica fuga; scrivo parole che rivestono le pagine del mio diario, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora.
Ma ogni volta che torno allo specchio, la verità mi colpisce come un pugno nello stomaco. La ragazza riflessa non è mai stata davvero me; è una versione distorta dei miei incubi, uno spettro che ride della mia impotenza. “Perché non sei abbastanza?” mi chiede l’immagine con uno sguardo gelido.
Sento il peso della vergogna schiacciarmi come un macigno. Ciascun passo verso la normalità sembra impossibile; qualsiasi tentativo di sorridere è una maschera che si frantuma in mille pezzi sotto lo sguardo critico delle persone.
Ogni singolo giorno, nel bel mezzo della mia tempesta interiore, spero di riuscire ad affrontare quell’ombra. Mi avvicino allo specchio con il cuore in gola e gli occhi colmi di determinazione. “Basta”, penso. “Non riesco più a vivere così”. Senza, però, trovare conforto e rivelando solo un abisso profondo e oscuro.
Il riflesso si fa costantemente più nitido; le mie paure si materializzano in visioni strazianti: volti conosciuti trasformati in ghigni derisori e voci familiari ridotte a sussurri strazianti. La speranza in un cambiamento si fa sempre più distante.
Una notte senza luna, quando il silenzio è palpabile e i pensieri si intersecano tra loro nei fili della mente, comprendo che devo scegliere: scappare dall’eterna oscurità o affrontare i miei demoni per cercare la luce. Con determinazione fronteggio il mio riflesso.
“Ti affronterò”, sussurro in lacrime.
Il vento tremola da una fessura della finestra avvolgendo il mio viso sotto la pressione delle mie emozioni. Con un colpo guardo lo specchio distruggersi in mille pezzi mentre il mondo si ferma per un istante infinito. Osservo la mia copia dissolversi in mille frammenti scintillanti; le schegge cadono a terra veloci come lo scorrere dell’acqua di un ruscello e sento per la prima volta un barlume di speranza: l’inizio della mia rinascita attraverso la scoperta dell’ignoto.
In quel momento fragile e toccante, capisco che anche nell’oscurità più profonda c’è spazio per la luce; basta avere il coraggio di cercarla dentro di me.
Sara Lupinetti





